giovedì 19 luglio 2012

"Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene"


Così diceva il giudice Paolo Borsellino durante uno dei suoi innumerevoli interventi. Proprio oggi cade il ventesimo anniversario della sua morte e di quella di 5 agenti della sua scorta che desidero ricordare:
Agostino Catalano (caposcorta), Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Si salvò solo Antonino Vullo, ferito gravemente.
Incredibile lo scoppio in pieno centro a Palermo, in via D'Amelio, dove abitava la madre del giudice che lui era andato a trovare. Incredibile che sia accaduto meno di due mesi dopo l'attentato al giudice Falcone.
La memoria di Paolo Borsellino cammina grazie a tante persone. E deve camminare anche qui al Nord, a Brescia, dove la malavita è di casa.
Leggete cosa dice oggi il corriere on line della mafia sul Garda e già che ci siete buttate un occhio alla sintesi che, nel febbraio scorso, la rete antimafia di Brescia ha fornito della relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia rispetto al 2011.

Le parole di Borsellino sono un monito anche per tutti gli amministratori locali, anche qui al Nord; essi hanno infatti il dovere di essere il primo baluardo non solo contro il tentativo di intromissione della criminalità organizzata nelle istituzioni, negli appalti ma, compito ancor più gravoso, contro la mentalità di compiacenza e clientelismo su cui da sempre le mafie si sono strutturate e che sono floridi anche dalle nostre parti.
E allora dovrebbe rimbombare nella nostra testa quanto il giudice Borsellino ebbe a dire il 26 gennaio 1989 in una lezione presso l'Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa:
"L'equivoco su cui spesso si gioca è questo. Si dice: "Quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto". E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: "Beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire quest'uomo è mafioso". Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza, si è detto: "Ah, questo tizio non è stato mai condannato, quindi è un uomo onesto". Ma dimmi un poco: ma tu non ne conosci gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre, soprattutto i partiti politici, a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati"
Riflettiamo su queste parole pronunciate in una scuola, istituzione inviolabile che, a venti anni di distanza a Brindisi, è stata oggetto di dolore e morte.

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